Asset A

Ecomuseo della Canapa

Ecomuseo della Canapa

LUOGO

Carmagnola (TO)

Carmagnola (TO)

COMMITTENTE

Città di Camrmagnola

Città di Camrmagnola

REALIZZAZIONE

1998/2004

1998/2004

SUPERFICIE LORDA

700 mq

700 mq

Con la ferma intenzione di non lasciare morire l’antica tradizione della realizzazione delle corde, si è costituito, nel   1991, il Gruppo Storico Cordai San Bernardo sotto la guida di Catterina Longo Vaschetti e Aldo Marello. Figli o nipoti di cordai, proprietari di fabbriche o semplici lavoranti, questi tenaci borghigiani, sono determinati a mantenere in vita quella “memoria nelle mani” che se andasse perduta indebolirebbe il nostro sistema di conoscenze, restringerebbe la già compromessa “bio-diversità culturale” (che dovrebbe, di per se stessa, essere considerata patrimonio dell’umanità), impedirebbe alle nuove generazioni di accedere ad un bagaglio di esperienze un tempo  vitali.

Cercare un luogo adatto ove eseguire dimostrazioni di filatura, parlare della canapa, conservare attrezzature d’epoca diventa una necessità non più prorogabile. Nel 1997 la Pubblica Amministrazione aderisce al progetto Cultura Materiale promosso dall’Assessorato alla Cultura della Provincia di Torino con la consulenza tecnica della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino. Viene acquistata un’antica corderia abbandonata, un sentè. E’ la fabbrica di Luigi Artuso le cui tracce si perdono in epoca ottocentesca. La tettoia è invece più recente, risale al 1905, è stato realizzato della ditta edile di Filippo Testa. L’idea è di trasformare questo edificio in sede dell’Ecomuseo della Cultura della Lavorazione della Canapa, al fine di inserirlo nella rete di musei ed ecomusei provinciali o regionali.

 

La larghezza del lotto è circa dieci metri. La sua lunghezza sessanta. Dei dieci cinque sono coperti, i restanti no; lì sono cresciute piante a basso fusto, erbacce, qualcuno ha abbandonato una vasca in cemento, c’è un gabinetto in legno come sui ballatoi delle case di ringhiera di primi novecento, una pergola ha tralci d’uva, per terra fiori di campo. In fila, uno dietro l’altro, sedici muti pilastri (a sezione quadrata), in mattoni d’argilla e campate regolari, cedono leggermente sotto il proprio stesso peso e quello della modesta tettoia che sorreggono. Non si può  traguardarli con lo sguardo, disegnano tutti insieme una lieve curva, che denuncia che sono lì da tempo. La falda della tettoia, a poco più di due metri e mezzo da terra, è inclinata verso est e  poggia su un muro perimetrale che divide il lotto da quello adiacente. Anche il muro sbanda un po’ verso l’esterno. Dalla parte opposta un’anonima recinzione in plastica verde, separa il lotto dagli orti della cascina vicina (c’è anche un cavallo che osserva, poi pascola). La copertura della tettoia era in coppi, all’inizio; oggi in tegole marsigliesi, costano meno. Si accede attraverso l’aia di una cascina; c’è una servitù di passaggio, ma in origine cascina e tettoia erano un tutt’uno, da una parte si abitava, dall’altra si lavorava. Oggi, sotto il senté, è desolazione e abbandono. Un piccolo motore elettrico tenacemente ancorato alla piccola fondazione in cemento armato sembra dirci che sì, ci hanno provato loro a meccanizzarsi, ma è stato inutile. Una lotta impari.

Questa è la descrizione del lotto all’indomani del primo sopralluogo effettuato, nel novembre 1997, dall’équipe del Politecnico (i professori Emanuele Levi Montalcini e Franco Lattes responsabili e gli architetti Paola Maria Delpiano e Massimo Raschiatore) alla quale era stato affidato il progetto di restauro.

Disegni, discussioni, fotografie, schizzi, sopralluoghi, incontri. Sembrava volesse rimanere tutto sulla carta, un mero esercizio teorico farcito di buoni propositi e dotte disquisizioni. Ma ad un certo punto i cordai, con la loro concretezza di sempre, riportano tutti (professori, architetti, assessori) ad un punto fermo: il 18 aprile 1998 s’inaugura il nuovo museo! La decisione fa tornare gli architetti alla realtà; bisogna darsi da fare. Le due ipotesi progettuali, messe in campo all’inizio, confluiscono in un’unica che le valorizza entrambe e comporta un intervento edilizio leggero e coerente con il contesto storico ed architettonico. L’insieme edificato, lotto, senté, muro esterno, ecc, viene interpretato come un piccolo hortus conclusus contemporaneo ma di medievale memoria, un “giardino zen all’occidentale”. La tettoia è mantenuta in opera con poche opere di consolidamento, con la messa in sicurezza dei pilastri e della struttura lignea; vengono eliminate le superfetazioni arboree e murarie.

 

Poi ci si abbandona alla poesia. Pochi elementi nuovi, uniti tra loro, definiscono l’ambiente: tubi innocenti dipinti di rosso, assi di legno, ciottoli di fiume, alberi da frutto, cemento colorato. Un equilibrio sereno e composto, ben orchestrato. All’ingresso, da sud, una torre alta cinque metri, articolata come in un gioco di bambini, è sormontata da una grande (il modello è al vero) ruota: la ruota dei cordai, quella che il voltatore, quasi sempre proprio un bambino, faceva girare, girare, girare (più svelto, vai più svelto, gli gridavano le cordaie. Non aveva tempo per giocare, lui). E’ l’icona del museo, quella ruota abbarbicata sull’esile traliccio rosso, monumento alla memoria del lavoro minorile.

Da sotto la torre, si snoda una lunga passerella, in tavole di legno che si rincorrono parallele a se stesse, una via l’altra. Affianca la tettoia per tutto il suo sviluppo lungo il lotto. Non un “percorso doppio”, piuttosto una platea molto schiacciata, perchè sulla passerella il visitatore cammina e se vuole sbircia quello che capita sotto la tettoia, guarda gli attrezzi sapientemente conservati, le corde  mai partite per chissà quale città del Mediterraneo, le gigantografie. appese al muro perimetrale, che raccontano il mestiere antico della filatura e della commettitura. Le panche, lungo il percorso sono in legno, come la passerella: come se la stessa si facesse momento di pausa e di riposo per il visitatore, gli chiedesse di sedersi ed ascoltare. Affianca la passerella, ad ovest, un cordolo riempito di ciottoli di fiume. Il confine con il lotto limitrofo è chiuso da moduli regolari di cannicciato posato con le fibre orizzontali, a correre, memoria degli antichi cannicci fatti con i canapuli di scarto della stiglia                              

Una pergola nuova, al posto della precedente (fatiscente) è il traguardo del percorso. Luogo protetto, zona d’ombra.

La corderia restaurata, questo nuovo piccolo museo, è un invito alla contemplazione, al lasciare agire la memoria, a sbrigliare i pensieri. Unico richiamo rumoroso, esterno, è l’affaccendarsi dei cordai intenti a ripetere i gesti mai dimenticati di trasformazione della fibra.

Nel 2004 una nuova iniziativa. Agli inizi dell’anno la Pubblica Amministrazione, con il contributo della provincia di Torino, acquista una porzione di fabbricato adiacente il limite nord del museo; si tratta di una campata del senté dell’originaria tettoia, nello specifico inglobata dalle strutture edilizie della cascina limitrofa. Una sola campata, più l’area dirimpetto (in tutto cinquanta metri quadrati), ma può servire, una volta restaurata, per ricavarne un locale chiuso, una piccola sala espositiva, un luogo per lezioni didattiche, proiezione di audiovisivi, archivio del materiale che negli anni è stato raccolto e prodotto. I cordai incaricano l’architetto Paola Maria Delpiano di redigere il progetto di restauro di questo fabbricato e di condurne la direzione lavori in sede esecutiva.

 

Asset A
Asset A
Asset A
Asset A
Asset A
Asset A
Asset A
Asset A

Copyright © 2025 AD Architetti

Design and Developed by Sina Nourmousavi

© AD Architetti

by Sina Nm

A

D

A

D

A

D